sabato 15 novembre 2008

La donna che scrive racconti di cucina

“Sai non so più nemmeno perché ho cominciato. Poi è diventata un’abitudine ripensare a pezzi della mia vita partendo da quello che c’era nel piatto. Soprattutto all’infanzia. Le salsicce di casa di una delle mie nonne, che non si compravano ma si facevano solo in un periodo dell’anno, e la marmellata di albicocche dell’altra. Le cose che piacevano a noi bambini e quelle che detestavamo. Pane, zucchero e caffè per placare il bisogno di dolce di mio fratello quando quarant’anni fa non era così scontato comprare merendine e dolci industriali. I sapori di Natale e quelli di ferragosto”. Parla tranquilla e mi chiede che ne penso delle sue storie. Le rispondo convinta: “Sono bellissime e poi divertenti. Quando le trovo tra le mail non posso fare a meno di fermare tutto e leggerle. Ti riportano veramente a un mondo diverso. Sono così cariche di vita vera. Forse ci metterei ogni tanto una ricetta. Sei una cuoca coi fiocchi, magari irretiti dalla storia si decide di provare a fare un piatto. Due piccioni con una fava. Un po’ di divertimento e qualcosa di decente da mangiare. Sta diventando sempre più normale che non si cucini più. O almeno non come cosa ovvia di tutti i giorni. E non credo faccia bene al corpo e allo spirito”.

Io per prima cucino poco, ma non è per partito preso. Certo non ho mai avuto un grande talento. Poi in fondo mi piace mangiare, ma se penso a un cibo di cui proprio non potrei fare a meno mi viene in mente solo il pane. Gusti primordiali e no frills. Beh, ogni tanto un po’ di frills non mi dispiacciono però non è determinante. Per Norma per esempio lo è. Lei se non mangia bene s’intristisce. Io non ricordo nemmeno cosa avevo nel piatto ieri. E posso mangiare verdura o insalata scondita ed anche senza sale e mi piace.

Però cucinare è un modo per stare bene. Una delle vie per essere felici. Una quindicina di anni fa per riprendermi dalla vita snaturata della settimana il sabato facevo le pizze. Più per impastare a lungo e ritrovare nella lievitazione un tempo fisiologico di attesa. Gianfranco me lo ricorda sempre: “E poi ti mettevi in cucina e facevi la pasta per le pizze”. Preparare qualcosa e aspettare. Impastare e mettere la pasta a lievitare. Accendere il forno, aspettare che diventi caldo e poi cuocere. Poi c’è stato un momento di grande disperazione, quando Gianfranco era molto malato, in cui compravamo le pizze pronte surgelate da infornare. Passata quella tempesta nessuno dei due ha mai più comprato una pizza surgelata. Non ce lo siamo mai detto. Non sopporteremmo quell’odore che esce dal forno. E’ un aroma preciso, buono, ma legato alla disperazione.

Ormai, tranne la cucina di sussistenza, faccio veramente poche cose. Restano le marmellate. Deve essere una questione ereditaria. In famiglia faccio parte della linea di quelli che non hanno un talento eccelso in cucina, ma fanno marmellate anche più buone di quelli che svettano tra i fuochi. Le mie marmellate sono rinomate. E anche Francesca, che certo ne capisce per famiglia e provenienza, mi chiede sempre di ricordarsi di lei quando metto mano ad un fine settimana di produzione. Dei giri di vasetti di albicocche, ciliegie, arance amare, fragole, susine, pere, che non vi dico.

Continuo a consigliare di aggiungere ai racconti una ricetta. Nessuna risposta. La cosa viene lasciata cadere così, senza darle troppo peso. Perché una cosa è raccontare pezzi della propria vita, anche molto personali, e tutt’altra dare una ricetta tramandata di generazione in generazione in famiglia oppure lasciata in eredità da chi ti sceglie come erede molto speciale. Anche senza arrivare alle madeleine di Prust, scopro che questa di raccontare i propri ricordi attraverso i piatti sta vivendo un momento di grande successo. Leggo la storia della frittata di maccheroni di Raffaele La Capria (“Autori Vari, Le nuove ricette del cuore, a cura di Carla Sacchi Ferrero, Blu edizioni”), che racconta della cuoca Rosaria di quando era bambino e della mamma ottuagenaria che tentava di irretirlo con la frittata di maccheroni per indurlo ad andarla a trovare. La Capria dà la ricetta, che si fa regalare da un’amica visto che chiaramente non dispone di un proprio patrimonio. Sempre su questa strada il gusto assoluto può venire solo dalla memoria. O almeno questo si ricava da “Estasi culinarie” di Muriel Barbery, che è diventata famosa dopo questo libro con “L’eleganza del riccio”. Un po’ troppo costruito quest’ultimo lavoro, come solo i francesi possono fare, ma divertente anche se non sempre credibile e sopportabile.

Poi scopro che secondo Davide Scabin, in testa alle classifiche degli chef italiani, il gusto è frutto di tante cose. Potrebbe anche essere il formaggino Mio nella pastina. O per un americano un vago aroma di petrolio che serve per accendere la carbonella del barbecue e può materializzare il ricordo di week end passati. O ancora un lontano sapore di bruciato nel sugo. E Scabin ci prova a riprodurre queste sensazioni.

Le ricette, quelle vere, fanno la differenza. Lo dico sempre alla donna che scrive racconti di cucina. Che non avrebbe problemi a mettere sulla carta come fare alcuni piatti davvero speciali. Oltre a storie davvero divertenti, che ben conosco visto che lei è mia sorella.

domenica 9 novembre 2008

Elisabetta è bisnonna. La bellezza di vedere un pronipote.

“No, non posso proprio venire domani, vorrei parlarti da vicino…ma sai è successa una cosa…”. E io “Ma sì dai non preoccuparti, ora troviamo una soluzione…metto giù e chiamo Adriana, verrà lei…vedrai lei riesce sempre a trovare un modo per sistemare le cose. Ma dimmi cosa è successo…tutto bene? Tuo marito?” Elisabetta è agitata e si sente. “No, No, tutto bene…solo che…solo che…sono diventata bisnonna. Ma ti rendi conto? Lei ha solo 17 anni e lui non ancora 19”. Rispondo entusiasta “Mi sembra la cosa migliore che ti potesse succedere. Anche per lei in fondo sarà bellissimo…pensa alla mia età avrà un figlio di 30 anni…e per te poi è fantastico. Io non so nemmeno se diventerò mai nonna e invece tu hai già visto in faccia il figlio di tua nipote. Ma ti rendi conto?”.

Elisabetta è la tata della piccola. Una tata-tata, protettiva e accudente anche con Gianfranco e con me. “Ma pensa che bello, un bambino piccolo tra le mani. Beata te”. Trasposizione reale di “Tutto per una ragazza” di Nick Hornby. Ma qui è tutto vero. Lei continua ad andare a scuola e a lui, come dice testualmente Elisabetta, “I genitori un po’ gli hanno menato”.

L’impero è morto, viva l’impero. Quelli come noi, neri o bianchi ma non ancora grigi

“Ma capisci è uno di noi, ha la nostra età, deve aver visto qualcuno dei telefilm che ci piacevano da bambini e bevuto il latte col Nesquik o qualcosa del genere”. Mattina prima di uscire. Mentre mi lavo i denti in bagno Gianfranco parla tra sé e con me. Si emoziona sempre quando succedono certe cose. D’altra parte quando andammo a vedere “Bambi e il grande principe della foresta” era lui quello commosso davvero per la difficoltà di cresce del piccolo cerbiatto senza madre e con un padre parecchio assente. Insomma era molto più travolto della piccola, che gestiva con molto equilibrio la cosa. E certo Barack Obama è un buon motivo per sentir dentro l’emozione. Obama. La grande splendida nonna bianca che lo aiuta a crescere, arriva a votarlo e muore due giorni prima che diventi presidente. E l’altra nonna, che in Kenia catalizza i festeggiamenti nei suoi abiti tradizionali africani. Una madre giramondo e un padre che sparisce. La forza di sognare e di vincere.

L’impero e morto, viva l’impero. L’America ha tirato fuori dal cappello la capacità di stupire, di emozionare e di vincere. E come fai a non riconoscere che la forza trainante è lì. E poi l’Africa in festa per l’elezione di un presidente americano. Ma questo è il macro. Io nemmeno l’avevo seguita con troppa partecipazione la vicenda Obama. Ho sinceramente metabolizzato la ricchezza della diversità per stupirmene o per intusiasmarmene.

E però c’è un micro che mi tocca. Perché poi ci pensi e ti rendi conto che il presidente degli Stati Uniti d'America ha la tua età. E' uno di quelli come noi, neri o bianchi ma non ancora grigi. Quelli grigi sono molto molto capaci, svegli, tosti e pieni di fantasia. Non mollano, tengono la rotta e potrebbero continuare a guidare la baracca a tempo indefinito. E quelli come noi non sono più nemmeno tanto giovani. Insomma ora tocca a noi. Tireremo le somme tra 15 o 20 anni.

E poi ci sono i ragazzini. Ho visto che è uscito l'ultimo volume della saga di Eragon, storie di draghi e di ragazzi scritte da un americano giovane giovane. Devo comprarlo. Il primo, Eragon, è carino, anche da consigliare per un adolescente che ami il fantasy. Il secondo, Eldest, è pessimo, forse anche pericoloso, da non girare ai ragazzi, perché il protagonista a un certo punto si invasa, si basta nel corpo e nella mente e si tramuta in elfo. Nulla contro la mutazione, ovviamente, ma questo bastarsi parossistico, questo avere comunque tutte le risposte, beh insomma lo lascerei ai professionisti della trascendenza. Ma cosa ci può essere di meglio di un Dio in cui credere. Poi se proprio uno non ci riesce pazienza. Però l’assenza del dubbio e avere tutte le risposte non mi pare sia salutare. Devo leggere il terzo, Brisingr, e vedere che ha combinato il prode Christopher Paolini e la sua eletta schiera di professionisti della scrittura per adolescenti. Mi sa che intrapresa una strada difficilmente si torna indietro. Pronta a essere smentita e anche contenta di esserlo.

domenica 2 novembre 2008

Il mestiere di vivere al tempo della crisi finanziaria. Con un minimo di coscienza. E il crollo dell’impero americano.

“Ma tu che dici, che succede?” Ed io: “Sinceramente non lo so. Certo tutti immaginavamo che se il centro dell’impero avesse un colpo lo avrebbe avuto da fuori. Ma il castello di carte che piano piano crolla, no non ci avrebbe mai creduto qualcuno davvero. E invece, visto che la vita ti sorprende sempre, ci tocca pure vedere l’implosione del sistema”. Insomma io tento di volare alto. Ma dall’altra parte questo interessa poco. “Sì, va bene, ma che faccio: compro Bot, tolgo i soldi dalla banca, mi metto a comprare azioni, faccio pronti contro termine, riduco il mutuo? Insomma che succederà?” “Se lo sapessi…ma è davvero difficile fare previsioni. Che cosa fare dipende dalla tua situazione, in genere quando il quadro è molto incerto è bene aspettare e non fare scelte azzardate”. Rinaldo mi fissa con l’aria di chi pensa “guarda questa, in fondo lei lo sa che cosa succederà e nemmeno uno straccio di consiglio vero”.

Il mestiere di vivere al tempo della crisi finanziaria vuol dire fare i conti giorno per giorno con chi ti chiede come muoversi con i propri soldi. E tu proprio non lo sai, non è che non glielo vuoi dire. Il minimo di coscienza sta nel non lasciarsi sopraffare nemmeno una volta da quel piccolo povero diavolo tipo Benigni che ha una piccola tana in ognuno di noi. Perché la tentazione di non rispondere con il buon senso a uno, anche a uno solo, di quelli che ti chiedono che fare è veramente forte. Non è cattiveria, è che il piccolo diavolo Benigni adora fare scherzi. Ma il buon senso prevale e in questo aiuta poter filosofeggiare sul crollo dell’impero americano per implosione.

Metto i pezzi uno di fila all’altro: 1. alcune cose certamente non saranno più come prima, tasselli importanti e anche il mondo nel suo complesso; 2 l’America si dovrà ripensare; 3. l’Europa ha un suo peso in questo gioco, ma è tanti ognuno per la sua strada; 4. Cina e India non stanno a guardare; 5. che cosa sarà in termini di recessione vera davvero non lo sa nessuno.

La cosa che più fa pensare è il crollo dell’impero americano. E mi torna in mente “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert M. Pirsing, il viaggio nell’America profonda della psiche e del territorio, dove forse si annidavano già i prodromi dello stato delle cose per cui un vero impero implode. Grande bellissimo libro. Difficile fare il bis. E infatti “Lila: un’indagine sulla morale” che arriva vent’anni dopo non regge il confronto.