sabato 29 marzo 2014

In Olanda

L’Olanda è sempre stata di casa in famiglia. La madre della bisnonna Rudolfine era olandese. E poi nei ricordi e nei racconti c’è sempre uno spazio per Tante Baukje. È stata lei la fotografa di mio padre bambino secondo il racconto di Evi. Aveva una grande auto, era una buona fotografa e mia madre ha sempre detto che era molto materna. Scrivo a mio padre:  “Dimmi di Annie Baukje. Quando sei stato da lei? Che cosa faceva? Devo ricordarmi di chiedere a mamma che cosa vi regalò per il matrimonio”.


Mio padre non si fa attendere. “Nella foto io sto con Zia Baukje e Anneke van Nispen, la sua amica che, con il marito che si chiamava credo Jan, condivideva la villa di Heemstede, dove fui ospite nel 1957, dopo che avevo passato qualche mese in Germania lavorando nella fabbrica Gebhard Balluff di meccanica di precisione, presso Stoccarda, dove avevo già fatto l'operaio nel '55. 

Renato Ferraro di Silvi e Castiglione, Anneke van Nispen e Annie Baukje

Mi ero laureato nel marzo di quell'anno. Jan era un ex ufficiale dell'Esercito olandese, ora lavorava in un ufficio governativo non so più di che. Anneke era stata la capa suprema delle girl-scouts olandesi. Jan era un uomo divertentissimo, con lui sono andato qualche volta a caccia. Stando là, trovai lavoro in una casa produttrice di bulbi, che impacchettavo. La ditta si chiamava Gebroeders van Zanten: eravamo tutti studenti (o ex, nel mio caso) che lavoravano lì per l'estate”.

“Baukje – aggiunge mio padre - si chiamava Baukje Haarmens. Baukje è un vezzeggiativo di Baudine (Baldovina). La Zia cui lei faceva da dama di compagnia si chiamava Annie Wueste. Baukje aveva un fratello maggiore, alla cui morte mi mandò i suoi vestiti che mi feci aggiustare da un ‘sartulillo’ napoletano”. Baukje dalla foto è alta e prosperosa. Ha mani grandi ed un sorriso schietto.

“E in questa immagine? Riesci a capire che cosa è scritto dietro? Era l'Olanda degli anni 30. Le tragedie della guerra dovevano essere ancora lontane”.

Annie Haarmens e Annie Baukje

“Nella foto ci sono a destra Baukje e Annie Wueste a sinistra, che era non so come imparentata con i Rupprecht. Sul retro della cartolina c'è scritto: "Pentislaem Bentveld (immagino sia la località da dove scrivevano), Estate 1931, Zia Annie - Baukje", e al posto dell'indirizzo: "Con tanti auguri per un felice anno nuovo 1932" (auguri alquanto prematuri se inviati nell'estate 1931!)”. Dal libro di Evi mi sembra di capire che la Zia Annie, cui Bukje faceva da dama di compagnia, fosse anche lei una Wueste”.


“Mi hai anche chiesto che regalo ci fece Zia Baukje al nostro matrimonio: una discreta somma in contanti (né Mamma né tanto meno io - figurati! - ci ricordiamo quanto, ma certo notevole) che lei disse che avrebbe voluto lasciarmi in eredità. Ma poi aveva pensato che ci potesse far piacere allora per impiantare la famiglia”. Insisto e chiedo a mia madre. Anche lei non ricorda la cifra precisa, ma mi dice: “Con il suo regalo comprammo una lavatrice e la cucina”. 


sabato 22 marzo 2014

A Sud con i Borboni

“Gentile Barone Cosenza,
il Signor Giuseppe Peluso di Pozzuoli, cultore di storie patrie, mi ha dato notizie della cosiddetta 'congiura del Barone Cosenza', di cui ambivo sapere qualcosa di più di quel pochissimo che sapevo; e per questo gli sono molto grato.

Ho pensato che possa interessarLe quanto risulta a me, per tradizione familiare. A tale congiura prese parte (non so con quale ruolo: egli era uomo di legge e non d'armi) il mio bisnonno Francesco di Paola Ferrara (poi Ferraro), Avvocato e Consigliere Particolare del Re (Dio guardi!). Per tale sua partecipazione fu arrestato e detenuto nelle allora carceri di San Francesco fuori Porta Capuana, edificio poi adibito a Pretura Unificata (prima esistevano le Preture Mandamentali distribuite nell'ambito cittadino). Ricordo di aver avuto per le mani, da ragazzo, una piantina del carcere con l'indicazione della cella di detenzione del mio avo: ora penso che forse essa era stata redatta in vista di una possibile evasione. Non so se questo documento (informale) esista ancora nel mio disordinatissimo archivio. Egli fu poi discriminato, non so se per assoluzione od amnistia, e tornò a fare l'avvocato, libero professionista.

Certo è che i discendenti di ‘Nonno Ciccio’, tra cui mio Padre, rimasero sempre fedeli alla memoria dei Borboni, ed ancora quando ero piccolo (anni '40), per qualunque cosa non funzionasse - e già allora ce n'erano tante, a Napoli! - mio Padre (anche lui avvocato) esclamava: ‘'A quanne è venuto 'on Peppino Caribalde a Napule nun funziona niente cchiù!’

Mio Suocero, Avvocato Tommaso Siciliano, che era un buon storico, anche lui di nostalgie borboniche, non è riuscito a sapere molto di più: il suo e mio convincimento era ed è che forse volutamente siano state soppresse tracce di questa vicenda”.

Il messaggio di mio padre è dello scorso anno. È una mail semplice diretta all'ultimo discendente di una congiura dell’aprile del 1862. Una congiura organizzata quando tutto era già perso. E noi con nonno Ciccio eravamo della partita. Dalla parte dei Borboni.

Francesco di Paola Ferrara

Il barone Cosenza risponde a stretto giro. “Caro Renato, in merito al mio avo, c’è abbondante documentazione anche inedita, su internet. Puoi trovarla sia nell'associazione neoborbonica, dove se ne racconta la carriera militare, le battaglie e la strenua resistenza all'invasore piemontese. Sia su internet, digitando ‘barone Achille Cosenza’. Troverai le rivolte che preparava ,assoldando varie bande di briganti e tutti gli atti processuali, inoltre vari testi inediti e varia documentazione segreta proveniente dall'Inghilterra. Troverai anche i nomi degli avvocati che lo difesero”.

Il discorso continua via web. Mio padre chiede al barone come si chiami e dove viva. “Noi siamo originari di Napoli – scrive in risposta- con feudi nella provincia di Cosenza. Io vivo tra Lecce, Bari e Roma. Spesso sono a Manduria, dove ho ereditato l’azienda vitivinicola di mia madre, i conti Stendardo di Mesagne. Il mio nome è Milo”. E la cosa va avanti. “Caro Milo – dice mio padre - ma figuraTi che anche i Ferrara (poi Ferraro) avevano addentellati a Manduria, in particolare il Cardinal Ferrara, al quale è intestata una strada. Io vivo a Roma: quando Ti trovi a passare, sarei felice di incontrarTi, e magari di averTi a pranzo o a cena”.

Cerco notizie del barone Achille Cosenza. Provò a dar vita ad una insurrezione per la fine di aprile del 1862, ma fu arrestato prima perché la congiura fu scoperta per una delazione. Processato e condannato, riuscì ad evadere e a rifugiarsi a Roma, da dove continuava a tramare.

In realtà la ‘resistenza borbonica’, con centro nevralgico di lotta a Palazzo Farnese a Roma, pare che non fosse proprio rose e fiori. Beghe interne, interessi specifici per le sostanze di Francesco II da parte di agenti venali, lotte tra fazioni, pochi collegamenti strutturati con l’estero. Memorie più o meno lucide e di parte raccontano di grande confusione nei disegni. Così per esempio le memorie politiche del Cavalier Luigi Mira. Il barone Achille Cosenza è personaggio centrale anche dopo la fuga a Roma come emerge in più testi. Secondo la Trecani aveva un suo buon seguito. E non solo di bande di briganti, come emerge dalla congiura di Frisio. Insomma, a favore dei Borboni non ci sarebbero state solo bande di disperati, ma anche larghe fasce di gentiluomini.

Mio padre mi ripete: “Non so Nonno Ciccio quanto tempo sia stato recluso nel carcere di San Francesco fuori Porta Capuana (poi diventato Pretura Unificata di Napoli). Avevamo una pianta del carcere da cui risultava la sua cella, ma chi sa che fine ha fatta. Fu scarcerato per proscioglimento. Credo di sicuro che fosse stato prosciolto”.

Certo a distanza di tanti anni non è ancora tutto pacificato. Trovo in rete bande di nostalgici, come i Comitati delle Due Sicilie, che sottolineano “Non siamo un partito, siamo una Nazione”.  Scrivo anche io al barone Milo Cosenza per usare lo scambio epistolare. E mi dice: “Se vuoi visionare un po’ della mia storia puoi vederla su Facebook a ‘barone Milo Cosenza’".


22 marzo, ultima delle Cinque giornate di Milano

Il taxi va a passo d’uomo. Lo sciopero del trasporto pubblico a Milano rende tutto più lento. E io andando all’aeroporto posso guardare i negozi e le strade. Giornata primaverile e tiepida quella di mercoledì 19 marzo a Milano. Il cartello della strada mi cattura: Via XXII marzo, ultima delle Cinque giornate di Milano. Dev’essere una congiuntura astrale quella per cui quest’anno mi trovo costantemente a contatto con le Cinque giornate. Sul web si trovano rapidi riscontri su Wikipedia e racconti più analitici con i fatti raccontati giorno per giorno. A Milano di anno in anno diventa sempre più un momento da ricordare. Anche per agganciarci qualche iniziativa non necessariamente storica. E così Farinetti ha deciso di aprire Eataly, il ‘Risorgimento del cibo’, proprio il 18 marzo e di festeggiare per cinque giorni.


Oggi, secondo giorno di primavera e ultimo delle Cinque giornate, provo anche io ad essere in linea. Metto in rete l’immagine dell’avo Torresani, il capo della polizia austriaca, che mi ha inviato mio fratello. È una stampa da 'Storia di Milano' della Treccani. È stata rintracciata facendo ricerche in biblioteca da sua moglie.

Carlo Torresani

È la stessa del ritratto che gira in famiglia.

Carlo Torresani

sabato 15 marzo 2014

Una nuova ipotesi per l’album di Dori – la mappa dei Wueste



“Ricordati da chi viene l’album”, mi ripete mio padre. Domenica sera, a casa dei miei genitori facciamo il punto sulle ultime scoperte. E ora che il quadro è completo scopriamo che l’ipotesi di partenza è sbagliata. E dobbiamo ricominciare daccapo. “Beh l’unica vera certezza – gli dico – è che l’album è di Dori”. Abbiamo provato, per esempio in Dori e il suo album e nella mappa dei Rupprecht, anche con l'aiuto di Evi a dare un nome a tutti di avi nelle foto.



La novità è che mio fratello ci ha portato l’Ahnenpass di Christel, la sorella della nonna. Christel, ossia Christine Rupprecht von Virtsolog, non era nazista ma era bibliotecaria e quindi per continuare a lavorare si dovette fornire del l’Ahnenpass, il passaporto che certificava il suo essere ariana da generazioni e generazioni. E che cosa scopriamo? Che Friedrich Rupprecht von Virtsolog nonno di Christel, per intenderci il patriarca centrale dell’album di Dori, NON era nato nel 1819 ma nel 1822. Ora, visto che la raccolta di foto è per festeggiare i settant'anni del patriarca e che sulla copertina c’è l’indicazione 1889, abbiamo dato per assodato che al centro in basso ci fosse proprio lui. Ma i conti non tornano perché nel 1889 non aveva settant'anni.


E invece c’è qualcuno che nel 1889 festeggiava i settant'anni ed è indicato nell’Ahnenpass di Christel. È Heinrich Rudolf Friedrich Wueste, nato il 24 gennaio del 1819 a Quakenbrueck in Bassa Sassonia. E allora cambia tutto. L’album è rimasto in casa Wueste, come mi ricorda mio padre. E la somiglianza tra l’immagine e la fotografia che conserviamo di Friedrich Rupprecht von Virtsolog padre ci sembra sparire di colpo. L’uomo dell’album ha trasparenti occhi chiari, mentre Friedrich Rupprecht nell'immagine da giovane ha occhi scuri. Certo parliamo di foto della fine dell’800…Si tratterebbe sempre del bisnonno di mio padre, ma sarebbe il padre della nonna e non del nonno.

Heinrich Wueste e non Friedrich Rupprecht von Virtsolog


Friedrich Rupprecht von Virtsolog, bisnonno di mio padre, da giovane

E se il gentiluomo al centro è Heinrich Wueste la dama sopra non può essere Carolina Torresani, ma è probabile che sia sua moglie. Dall’Ahnenpass di Christel si chiamava Luise Sara Gockel, nata ad Amsterdam il 23 agosto del 1825. E tutto avrebbe un senso, visto che le due ragazze sulla sinistra sono Luise e Johanna Wueste e i due giovani a destra i loro mariti, Friedrich e Karl Rupprecht von Virtsolog. Certa resta un mistero chi siano l’uomo e la donna in alto, ma la nuova mappa non toccherebbe le immagini della seconda pagina, che resterebbero i nipoti indicati da Evi.


Luise Sara Gockel e non Carolina Torresani

Ancora Risorgimento. Le Cinque Giornate a Milano e la Brigata Rupprecht

Su La Stampa trovo uno splendido pezzo di Antonio Scurati su ‘Le Cinque Giornate di Milano, l’epopea della barricata’, solo in parte disponibile sul web liberamente. Contro ogni previsione l’esercito più agguerrito dell’epoca fu piegato. Non c‘è traccia di Torresani, l’avo capo della polizia austriaca, ma è un’ulteriore prova della capacità di stare con chi perde anche quando è proprio difficile che accada. Cito testualmente Scurati. “Le possibilità di successo dell’insurrezione erano talmente remote da rendere la vittoria degli insorti un accadimento estraneo al corso degli eventi. Di lì a cinque giorni, però, quella vittoria accadde”. E ancora: “La formidabile macchina da guerra eseguiva gli ordini del Maresciallo Radetzky, un comandante leggendario, un anziano patriarca intagliato nel mogano che nei suoi vigorosi ottant’anni d’età ricapitolava la sapienza marziale di un’intera epoca”. E questi erano quelli del barone Torresani. E chi c’era dall’altra parte? Scurati è netto: “a questa forza d’occupazione preponderante, Milano poteva opporre una popolazione civile disusa alle armi da quasi due generazioni, un’organizzazione a dir poco fantasmatica e un armamento che, alla vigilia della rivolta, non arrivava a trecento fucili efficienti”. Non basta. “In quei cinque giorni, una banda di liceali e di vecchi reduci delle campagne napoleoniche, di aristocratici e di operai, di socialisti atei e di devoti seminaristi, di uomini e donne, caricò e travolse le legioni dell’impero. L’aquila bicipite degli Asburgo fu abbattuta a sassate”.

È il quadro delle Cinque Giornate di Milano. Ricevo intanto una mail da mio padre che mi dice: “nel romanzo Ottocento di Salvator Gotta (che però non ho letto) so che si parla di una ‘Brigata Rupprecht’ impegnata in una battaglia contro gl'Italiani non so in quale guerra d'indipendenza”. Avrei dovuto immaginarlo…

A Milano con gli austriaci. Il barone Torresani

Non riesco a trovare un caso, dico uno, in cui qualcuno di famiglia sia stato con quelli che hanno vinto. Magari quando non c’è ancora certezza la scelta non è evidente. Ma nel momento in cui è assodato che c’è una parte che sta per perdere è abbastanza probabile che noi siamo di là. Abbiamo perso tutte le guerre, battaglie, scaramucce. Sempre dalla parte sbagliata. Insomma, in caso di vittoria siamo pronti a saltare sul carro dello sconfitto. Provo ad essere più chiara. Non è che siamo con il vincitore e poi quando viene sconfitto restiamo con lui. No, sarebbe troppo facile. Mentre qualcuno vince non ci interessa, è quando si prospetta la sconfitta che facciamo la scelta di campo.

E così scopro che addirittura abbiamo qualcuno in famiglia che è stato capo della polizia austriaca durante le 5 giornate di Milano. Ah il Risorgimento. Per la mia famiglia ha rappresentato la possibilità di scegliere da Sud e da Nord quelli che avrebbero perso. Sapevo che eravamo per il Regno delle due Sicilie e che nonno Ciccio, ossia il trisavolo Francesco Ferrara, aveva partecipato ad una congiura per riportare i Borboni a Napoli quando tutto era perduto e l’Italia fatta. Ma addirittura avere in casa il capo della polizia austriaca a Milano è davvero incredibile.

Ma veniamo ai fatti. Partendo dall’
album di Dori, su cui pure mi toccherà di tornare, sono arrivata alla nonna della mia nonna paterna, ossia a Carolina Fortunata Giuseppina Torresani, figlia di Carlo Giusto Torresani barone di Camponero. E chi era costui? Arriva una semplice mail da mio fratello con un link alla Enciclopedia Trecani:

TORRESANI LANZFELD, Carlo Giusto de, barone di Camponero. - Nato a Cles (Trentino) il 16 febbraio 1779, morto l'8 agosto 1852. Studiò leggi nell'università di Vienna, ma nel 1796 combatté valorosamente, come ufficiale dei bersaglieri provinciali, contro i Francesi. Nel 1802 intraprese la carriera dei pubblici impieghi, che fu brillantissima ma non rapida; commissario di polizia a Salisburgo nel 1806, solo nel 1822 ottenne la desideratissima direzione della polizia di Milano. Fu severo, zelante, scrupoloso nel suo ufficio, e perciò apprezzatissimo dal Metternich e dal sovrano; ma non disumano né vendicativo. Nel 1833 e 1834 scoprì e sventò la congiura della Giovine Italia in Lombardia e ne arrestò i capi. Nel 1846 ebbe anche la direzione del Teatro della Scala, di cui il governo molto si curava per ragioni politiche. Dal 1846 al 1848 più volte consigliò al governo centrale provvedimenti politici ed economici, ma invano. Operò allora molte perquisizioni ed arresti e duramente represse le manifestazioni patriottiche dei primi mesi del 1848. Durante le Cinque giornate mostrò grande risolutezza e coraggio personale. Seguì l'esercito nella ritirata a Verona e qui finì la sua carriera”.

Un legame Torresani - La Scala a Milano anche oggi è rimasto. Scopro che il responsabile dell’Ufficio promozione culturale si chiama Carlo Torresani.

Cerco un’immagine dell’antenato in rete, ma niente. Poi mio padre mi dice che nelle sue ricerche Alessandra, la moglie di mio fratello, ha trovato un quadro. Ed è praticamente lo stesso che ha in casa Evi in Inghilterra. È insieme ad una serie di ritratti che non sa attribuire. “Hanging here in my drawing room – scrive Evi a mio padre -..... to make you laugh, because Carolus Torresani's picture - an aquarell is exactly the same that Alessandra found in the Archives.... It's really funny. I knew it was Torresani”.



Carlo Torresani

Faccio un giro sul web e diciamo che Torresani non è proprio uno sconosciuto, nonostante sia passato un po’ di tempo. Nella Rassegna storica del Risorgimento trovo i diari di Giuseppe Montanelli, che il 5 aprile del 1848 scrive:”Fui ieri a Trento. Mi trattenni solamente due ore per la ragione che vi dirò; stanotte ho dormito in un piccolo villaggio alla distanza di cinque o sei miglia da Trento. Un movimento spontaneo in Trento è impossibile. Vi è una aristocrazia tutta austriaca. Il castello è guardato da 1400 uomini. A Bolzano il viceré ha fissato la sua residenza, e di là fa una propaganda contro di noi. Cerca di commuovere le popolazioni del Tirolo tedesco contro gli italiani, manda fuori proclami, ed ha seco quel mostro di Torresani”. E la nota a pie’ di pagina non lascia dubbi: “Carlo Giusto Torresani, barone di Lanzelfeld e Camponero. Direttore generale della polizia a Milano, fu abile e terribile persecutore dei patrioti italiani; apprezzato da Metternick fu l'uomo di fiducia di Radetzld”.

E molti riferimenti sono anche nel
libro di Arrigo Petacco dedicato a Cristina Trivulzio di Belgioioso, in prima linea nel Risorgimento. Il profilo della principessa Cristina è fantastico, tra lotte carbonare e salotti, amori romantici e una figlia forse illegittima. Tra l’altro avrebbe dato vita al servizio delle infermiere volontarie. Durante l’assedio di Roma, Giuseppe Mazzini le affidò l’incarico di dirigere le ambulanze militari, ossia gli ospedali. E lei si sbarazzò di quasi tutti i vecchi infermieri, “uomini rozzi, ineducati, sovente ubriachi, l’antipodo insomma di ciò che dovrebbero essere coloro che assistono gli infermi”.
  


Cristina Trivulzio di Belgioioso in un ritratto di Francesco Hayez



Alcune pagine del libro di Arrigo Petacco mettono a fuoco i contatti tra la principessa e Torresani. ”Il capo della polizia austriaca di Milano, barone Carlo Giusto Torresani, si era fatto una regola di tenere i milanesi imbottigliati in città. Lungaggini di ogni tipo e ostruzioni burocratici erano da lui posti in opera per ottenere tal fine. Inoltre sottoponeva gli interessati a lunghi e stringenti interrogatori per scoprire gli eventuali veri motivi che si celavano dietro la loro richiesta. Per evitare questi intralci, Cristina sfruttò il suo nome onde scavalcare il Torresani e rivolgersi direttamente al governatore Giulio Cesare Strassoldo. E fu un gravissimo errore. Il conte Strassoldo, infatti, le rilasciò subito il passaporto, intestato ai coniugi Belgioioso ma “valituro per la sola Principessa”, ma il sospettoso Torresani la prese male. Forse perché offeso dal fatto di essere stato scavalcato, forse perché la sua mentalità di poliziotto gli faceva intravedere complotti e cospirazioni anche dove non ce n’erano, decise di non perdere più di vista la principessa fuggiasca. Da allora in poi le sue spie l’avrebbero seguita dovunque e, in un certo senso, sarebbero state proprio le sue persecuzioni a spingere Cristina a schierarsi anima e corpo con i cospiratori”.











sabato 8 marzo 2014

Gruppo di famiglia in giardino

“Riconosco il secondo da sinistra, che è il Padre di mia Madre”. E prima aveva identificato sua madre nella prima a destra e sua nonna accanto a lei. Mio padre riesce a individuare il tratto delle persone a lui più vicine. Non credo arriveremo a trovare altre risposte. Ma non si sa mai. Il gruppo di famiglia in giardino agli inizi del ‘900 è pieno di suggestione. Le dame sono in bianco, tranne la bisnonna Rudolfine. è estate e deve esserci stata un’occasione di incontro familiare. La bisnonna tiene a braccetto la nonna in un gesto semplice, affettuoso e quasi protettivo. E basta questo per spiegare la forza di un’immagine.

Friedrich von Rupprecht, secondo da sinistra, Hildegard von Rupprecht prima da destra, Rudolfine Wueste seconda da destra

Evi e la mappa dei Rupprecht


Johanna, Gisela, Heinrich. E ancora i piccoli Paula, Lilly, Hanna, Fritzi, Carletto, Fritz. Gli avi ritrovano i loro nomi. Come per magia Evi è riuscita a mettere insieme la mappa Rupprecht delle foto del 1889 dell’album di Dori. Mio padre non aveva identificato la dama in alto a destra, il gentiluomo in lato a sinistra e la signora subito sotto. Insomma, le uniche certezze erano per Friederich von Rupprecht al centro e per sua moglie Karoline Torresani sopra, oltre che per Friederich figlio in basso a destra, per suo fratello Karl subito sopra e per Rudolfine in basso a sinistra.



Poi arrivano tre mail di Evi e molte caselle vanno a posto. Evi ha tracciato una vera e propria mappa.

la mappa Rupprecht di Evi

Una sera trovo tre messaggi semplici che danno risposte insperate. Insieme a due immagini Evi mi scrive: “I am sending you 2 scans with the names of the children and grown-ups whose identity I know. Baronin Karoline Torresani was the first wife of Friedrich von Rupprecht . They had 5 children Heinrich, Gisela, Karl, Fritz und Alfred  (he died very young). After his first wife’s death, Friedrich married a Countess Ambrozy. There were no children to this marriage”. E così scopriamo che in alto a destra c’è Gisela, mentre a sinistra Heinrich. E sono una sorella e un altro fratello Rupprecht. Provo a chiedere se ci sono notizie di dove siano andati. Ma anche Evi non ha idea di dove vissero.

Evi va Avanti: “Karl and Fritz Rupprecht married 2 sisters: Johanna (born 1859) and Rudolfine (Rudje) (born 1861) Wüste”. E quindi la dama al centro a sinistra è Johanna, moglie di Karl, che è difronte, e sorella di Rudolfine sotto.
Evi continua: “Karl and Johanna lived in the Villa, Kaiser Franz Ring (Franzenstrasse) and had 5 children: Lilly, Hanna, Fritzi, Paula und Carletto.
Fritz and Rudje lived in  Christalniggasse and also had 5 children: Elsa, Carola, Christel, Fritz and Hilda”.



Insomma Evi riesce a identificare anche la seconda pagina con i bambini, dove eravamo riusciti a dare un nome solo alla mia nonna, in arrivo con la cicogna, e alle sue tre sorelle Carola, Elsa e Christel al centro in ultima e penultima fila.

I bambini Rupprecht al 1889

In altro quindi ci sono le foto dei figli di Karl e Johanna, sotto quelli di Friederich e Rudolfine. Degli ultimi due non ha notizie. Forse morirono presto, ma degli altri è assolutamente certa.


So che difficilmente troverò qualcosa in rete, ma ci provo. Ci sono parecchie Gisela Rupprecht, qualche Heinrich ed anche collegamenti con la famiglia von Bayern. Chiedo a mio padre se pensa possano esserci collegamenti. “No – mi dice - lo escluderei. Rupprecht deve essere un cognome abbastanza diffuso, derivante da Ruprecht (con una sola p), che è un nome proprio, tra l'altro del diavoletto che accompagna San Nicola (Nikolaus, da cui Santa Klaus): questi premia i bambini buoni, Ruprecht punisce quelli cattivi”. Mi dovrò preoccupare nell’avere degli avi con un nome da diavoletto?









sabato 1 marzo 2014

Dori e il suo album


“Penso che dobbiamo affrontare l’album di Dori”. Guardo mio padre, che si alza e va a cercare il grande volume rilegato in pelle marrone. In questa storia delle foto spesso troviamo quello che non cerchiamo e invece appaiono immagini che non ci saremmo aspettati di avere tra le mani così facilmente. E questo non ha niente a che fare con le dimensioni delle foto. Immagini minuscole compaiono mentre le grandi spesso si nascondono. Mio padre torna vittorioso. Il raccoglitore è davvero voluminoso e contiene solo due grandi pagine di foto, a margine una raccolte di poesie in tedesco.
 L'album di Dori Wueste Gelletti

Le foto sono piccole e molto nitide, riunite su due pagine di velluto rosso. L’evento per cui è stata preparata la raccolta è il compleanno del patriarca. Probabilmente settant'anni. E visto che sulla copertina è scritto 1889 il nonno doveva essere del 1819.

Tutta la famiglia più stretta riunita per l’evento


Le nuove generazioni

Ma quando ti ha dato l’album Dori?” ”Credo l'ultima volta che l'ho vista - dice mio padre - forse cinque o sei anni fa. Il festeggiato dovrebbe essere Friedrich Rupprecht von Virtsolog (predicato ungherese). S'identifica, secondo me, con l'ufficiale rappresentato nella foto ovale che mi regalò non moltissimo tempo fa Friedel (Lehne, cugino di mio padre, citato nel post Nomignoli)".




Friedrich Rupprecht von Virtsolog, bisnonno di mio padre



Friedrich Rupprecht von Virtsolog, bisnonno di mio padre, da giovane

Mio padre va avanti: "La moglie era la Contessa Torresani, famiglia di Cles, dove ancora esiste un palazzo noto come 'case Torresani', che ho visitato. Suo padre era stato il Capo della polizia austro-ungarica a Milano, forse durante le Cinque Giornate! Comunque tutto va verificato."  


La Contessa Torresani, moglie di Friedrich Rupprecht von Virtsolog,

Mio padre pensa di riconoscere suo nonno Friedrich Rupprecht von Virtsolog e sua nonna Rudolfine Wueste. 

Friedrich Rupprecht von Virtsolog, nonno di mio padre 


Rudolfine Wueste, nonna di mio padre

In questa foto Rudolfine doveva avere 28 anni. 

Subito sopra dovrebbe esserci Karl Rupprecht von Virtsolog, il fratello del nonno di mio padre. Il famoso fondatore dei cugini della Franzenstrasse (se ne parla per esempio nel post su Luise Rudolfine Wueste). "Mi pare di ricordare - aggiunge mio padre - che Karl, il generale di cavalleria che abbiamo in una foto a parte, credo che avesse sposato una sorella di Rudolfina Wueste”.


Karl Rupprecht von Virtsolog


Karl Rupprecht von Virtsolog

La dama dovrebbe essere la moglie di Karl e la sorella di Rudolfine. Ma non abbiamo alcuna certezza.

Moglie di Karl e sorella di Rudolfine?


Avvolti nel più profondo mistero sono gli altri due personaggi di questa pagina di foto. Lei, vista la posizione nella pagina, potrebbe essere una sorella di Friedrich e di Karl e il gentiluomo al lato suo marito. Ma anche mio padre non ha notizie.


Sorella di Friedrich e di Karl?



Marito dell’ultima dama?

Se questo è il quadro per gli adulti, per la nuova generazione siamo arrivati a identificare solo 4 foto. La mia nonna, madre di mio padre, nata nel 1889 dovrebbe essere in viaggio con la cicogna.
 
La mia nonna in viaggio 


Mio padre riconosce anche nelle tre bambine più grandi le tre sorelle della nonna, ossia Carola, Elsa e Christel.



Carola Rupprecht von Virtsolog




Elsa Rupprecht von Virtsolog



Christel Rupprecht von Virtsolog

Tutti gli altri sono un mistero. 

L’album era di Dori, ma non credo che lei ne sapesse molto di più. Forse per memoria familiare, lei che era una Wueste, avrebbe potuto sapere se la moglie di Karl era sorella di Rudolfine. Io Dori me la ricordo bene, una bella donna simpatica, con una risata coinvolgente. L’ho conosciuta quando ci trasferimmo a Monfalcone, quindi probabilmente nel 1979. L’estate scorsa mio padre ha avuto la triste notizia della sua scomparsa. Cerco quindi in rete per avere tracce di lei. E le scoperte sono emozionanti.

In un notiziario di “esuli” di Lussino trovo un suo lungo racconto. Parla di suo nonno, Floris Wueste, il fratello di Rudolfine, molto amico dell’arciduca d’Austria. Della nascita dell’hotel e delle fortune e sconfitte della famiglia. Non manca una storia secondo cui Floris Wueste, l’arciduca e altri due amici una sera a tarda notte chiesero qualcosa da mangiare ad un oste ed ebbero una fetta di torta, che sarebbe poi diventata la famosa Sacher. E una lunga connessione con Mayerling e la morte violenta dell’arciduca e della sua amante. Floris avrebbe saputo cose per cui avrebbe potuto rischiare la vita, di qui la sua fuga.


 

 

Insomma, antiche storie accompagnano gli avvenimenti familiari. Circa Mayerling e la morte violenta di Rodolfo d’Asburgo e Maria Vetsera la vicenda è ancora oscura. Un complotto? Omicidio di potenze straniere? Probabilmente fu tutto più semplice e si trattò di un suicidio, come pure è stato ipotizzato. 

Lascio la parola a mio padre: “Naturalmente ho conosciuto i genitori di Dori, Fritz e Ottilia Wueste. Quello che l'articolo non dice è che dopo la prima guerra mondiale Fritz, ormai italiano, e che non aveva studiato, si iscrisse alla gente di mare e divenne cambusiere del Lloyd Triestino, compagnia anch'essa italianizzata, con la quale navigò a lungo per l'Estremo Oriente”. Per avere qualche elemento in più mio padre scrive ad Evi, dicendole che ho trovato “in a magazine of Italian migrants from Lussino this story I didn't know anything of. Floris Wueste was a very good friend of Erzherzog Rudolph, before this one killed his mistress Vetsera and himself at Mayerling. After this event, many servants and friends of the Erzherzog died misteriously, and one day someone suggested to him to leave at once in order not to suffer a similar destiny. So he went to America, or I better suppose to Dutch Ostindien (now Indonesia) where he became a very rich man. His son Fritz and daughter-in-law Ottilia, who lived in Trieste, as he was a seaman sailing with Lloyd Triestino (earlier Lloyd Aiustriaco), were the parents of Dori, married with Bruto Gelletti”. 

Ma Evi ha poche notizie: “I know the name Dori Wueste, but have never met her, My parents visited her father Fritz in Lussino. And his father was FLORES Wueste, who became a business partner with our grandfather and they ran several factories together - but not very successfully., I am afraid….”

"Fritz Wueste- aggiunge mio padre - imbarcato su navi del Lloyd Triestino, andava a trovare i miei genitori quando passava con la nave per Napoli.
Io l'ho conosciuto quando, dopo la guerra - io avrò avuto quindici anni - venne in vacanza a Napoli con la moglie Ottilia, che si vedeva essere stata una bella donna, molto alta. Poi l'ho rivista a Trieste quando vi andai in viaggio d'istruzione dall'Accademia, nel 1959. In quell'occasione conobbi Dori, il marito Bruto Gelletti ingegnere con una sua impresa di costruzioni, e la figlia Viviana. Dori era una bellissima donna, veramente stupenda, e Viviana una bambina anche molto bella. Con loro ci saremmo rivisti spesso durante i miei due anni monfalconesi. Avevano una bella casa in Via Orazio: anche Guido c'è stato qualche volta. Dopo la morte di Bruto, Dori aveva cambiato casa, abitava credo in Via Cereria dove pure sono andato a trovarla in occasione di qualche mia conferenza al Propeller di Monfalcone. Bruto e Dori vennero anche a trovarci una volta a Civitavecchia quando facevo lì il comando. Viviana, anch'essa diventata una donna stupenda, forse ancor più della madre, è poi morta in maniera drammatica forse una decina d'anni fa. Gli altri due figli, Marino e Marco, vivono a Trieste”.

Trovo in rete l’ultima traccia di Dori. Sul notiziario di Lussino è pubblicato un addio. Per il suo ultimo viaggio ha chiesto di essere accompagnata dalla bandiera di Lussingrande