domenica 11 aprile 2010

Tre piani per tre fratelli

“Mi racconti la storia della vecchia casa di famiglia di Napoli? Erano tre piani e furono divisi tra i tre fratelli?” Ogni tanto via mail mi parte un messaggio per mio padre, che tocca pezzi di passato.

Napoli
La sua risposta arriva sempre rapida. “Cara, la ‘casa palazzata’ della Salita Stella, fu acquistata dal mio bisnonno Francesco di Paola Ferrara verso la metà del secolo XIX, credo in un'asta giudiziaria. Quando avrò un po' di tempo troverò il contratto di acquisto che sono quasi certo esista ancora tra le vecchie carte di famiglia. Per testamento (che forse anche potrei trovare) lasciò la parte più elevata del palazzo al figlio Eugenio, sposato con Cleonice Caterini, capostipite del ramo Augusto – Decio – Amedeo – Consalvo – Gustavo – Sara – Marta - Renato (non in ordine di nascita). La generazione successiva è formata dai figli di Augusto, magistrato, sposato con Angelina Capalbo (Adriana, Franca, Marcella, Massimo, Corrado e Flavia), di Amedeo (in questo momento mi sfugge il nome della moglie, che era una signorina di Brescia, dove lui faceva l'ufficiale: Alfredo e Amedea) e Decio, sposato con Lucrezia Viola (i celebri gemelli Gegè e Gustavo, e poi Renato e Alfredino); il piano "nobile" andò a mio nonno Antimo Maria Luigi noto Luigi, sposato con Matilde Caterini, sorella di Cleonice; la parte sottostante al fratello più grande, Enrico, sposato con Elvira Guidi, di famiglia molto nobile, figlia di un diplomatico italiano presso la corte ottomana, per cui lei era nata a Costantinopoli. I figli di questa coppia erano Elena, nubile, Claudio, sposato con Maria Curcio ma senza figli, e Edmondo, detto Momondo, sposato con zia Giuseppina (non ne ricordo il cognome), genitori di Enrico e Annamaria, questa sposata con Ducci e madre di Paolo, diplomatico, Domenico, avvocato penalista in Napoli e una ragazza (bellissima come la mamma) di cui in questo momento non ricordo il nome, che credo sia biologa.

Di tutta questa proprietà, purtroppo molto degradata, sono l'unico Ferraro ancora condomino, per quasi duecento millesimi. Mi sento come quello delle barzellette che rimane con il cerino in mano ...”

Napoli, Salita Stella

Pezzi di passato continuano ad andare nei messaggi tra me e mio padre. “A che numero è il palazzo della Salita Stella a Napoli? Mi è capitato sotto mano un libro – Napoli, Atlante della Città Storica, Vol. 5 - che fa il punto sui quartieri Stella, Vergini e Sanità. (http://www.librerianeapolis.it/pages/Schede/Napoli_Atlante_Citta_Storica_5.html) Il volume fa riferimento a Stella: Chiesa ed ex Monastero di S. Maria della Stella, Palazzo e Cappella Amoretti, Palazzo alla salita Stella 21, Palazzo alla salita Stella 32, Palazzo alla salita Stella 39”.

Napoli in bianco e nero

“Il numero è il 27 (Salita della Stella, Napoli: http://maps.google.it/maps?f=q&source=s_q&hl=it&geocode=&q=Napoli+salita+stella+&sll=40.85589,14.251226&sspn=0.001895,0.003428&ie=UTF8&hq=&hnear=Salita+della+Stella,+Napoli,+Campania&ll=40.855435,14.251157&spn=0,359.999143&t=h&z=20&layer=c&cbll=40.855181,14.251504&panoid=2dZvKYSyrt_C9BZyK_qF4g&cbp=12,274.91,,0,-0.92 ). La cappella Amoretti era (o è) nei gradoni Stella, che sono in prosieguo della Salita Stella. Il 21 era il famoso Palazzo ‘a spuntatora’, cioè che aveva l'ingresso principale sulla Salita Stella e il secondario alle spalle, nel vico Stella. Vi abitava, fra tanti altri, un monsignore, vescovo titolare ‘in partibus infidelium’, che si diceva ‘si tenesse’ una tale signora, moglie di un professore di disegno che una volta mi fece un ritratto che forse sarà ancora da qualche parte. Nel 32, di proprietà del Pio Monte della Misericordia, oggi sottoposto a vincolo monumentale, abitavano i miei amici d'infanzia e giovinezza Ettore Albarella, e Turi e Gino Arcidiacono. Il padre di Ettore era cancelliere della Pretura, alla sezione "Tutele, Curatele e Folli". La Pretura era nell'ex convento di San Francesco fuori Porta Capuana, un tempo carcere giudiziario, dove era stato detenuto il mio bisnonno Francesco di Paola Ferrara (Nonno Ciccio), ex avvocato del Re Francesco II, arrestato perché sospettato di aver partecipato alla congiura del Barone Cosenza per reinsediare i Borboni. Il padre degli Arcidiacono era professore di ginnastica, centurione della Milizia, Marcia su Roma, Sciarpa Littoria ecc., ma sempre rimasto povero! Turi era con mio fratello Mario, alla Via Campana di Pozzuoli, quando furono investiti da un camion americano. Mario morì dopo tre giorni all'ospedale degl'Incurabili per frattura della base cranica, Turi, pur gravemente ferito, miracolosamente si salvò. Prima degli Arcidiacono, nella stessa casa ci aveva abitato Zio Momondo (figlio di Enrico Ferraro, celeberrima forchetta) con la moglie Giuseppina e i figli Enrico e Annamaria, madre di Paolo Ducci.


Napoli in bianco e nero

La nostra parrocchia era la SS. Annunziata a Fonseca, dove ho fatto Prima Comunione e Cresima sotto la guida di Padre Russo e con la preparazione della signora De Gregorio, che aveva sposato il figliastro di Zia Sara (figlia di Eugenio Ferraro). Zia Sara, infatti, aveva sposato il vedovo presidente De Gregorio, magistrato. Il figlio di questa coppia più giovane, bancario, era amico di Giuseppe Ciaramelli.

La mia scuola elementare era la ‘Vincenzo Russo’ (poeta, martire della Repubblica Partenopea), allogata nell'ex convento di Santa Margherita a Fonseca, confiscato con la Legge delle Guarentigie, dove insegnava Zia Anna di Donato.

Alla Salita Stella 39 abitava la famiglia De Marinis: il padre, spedizioniere doganale, era un discreto poeta dialettale (forse ho da qualche parte un suo libro di poesie napoletane), i figli erano compagni di calcio dei miei fratelli e di Enrico Ferraro. La loro casa aveva alle spalle un bel giardino che apriva sull'ariosa piazzetta Stella, di fronte alla splendida chiesa di Santa Maria della Stella tenuta dai frati minimi (quelli di San Francesco da Paola), che andò in buona parte distrutta in un incendio, credo nel '45: ricordo perfettamente l'evento e il cielo rosso prodotto dal riverbero delle fiamme. Questi monaci, guarda caso, amministreranno in seguito anche la nostra parrocchia di Santa Maria Antesaecula a Montedonzelli, dove Guido fece la Prima Comunione. Certamente mi verranno in mente altre cose”.

L’avventuroso zio Amedeo

Ricevo da mio padre: “In questo momento mi sono ricordato che la moglie di Amedeo Ferraro (precipitato con l'aereo), madre di Alfredo e Amedea, si chiamava Gisella. Era un'eccellente pittrice, come del resto la figlia Amedea (abbiamo un quadro di quest'ultima in salotto), però a livello puramente dilettantistico perché la professione sarebbe stata disdicevole a signorine di buona famiglia. Forse ricorderò anche il cognome, ma credo che abbia poca importanza”.

Ma partiti con una storia, piano piano vengono a galla informazioni che sembravano dimenticate. E così dopo pochi giorni trovo un nuovo messaggio di mio padre. “Mi sono ricordato che la vedova di Amedeo Ferraro (la figlia Amedea nacque poco dopo la tragica fine del padre) si chiamava Gisella Pedrazzi. Ne ho chiesto conferma per telefono ad Alfredo. Con costui siamo andati una volta a visitare lo splendido palazzo dei Pedrazzi a Brescia, ora sede della Croce Bianca: una magione principesca! Eravamo di ritorno dalla Valcamonica, dove avevamo portato da Genova la salma di Amedea per l'inumazione. Il padre di Gisella si era ritirato lassù perché a Brescia si era diffusa la voce che fosse un terribile jettatore, tanto che fu addirittura COSTRETTO a lasciare la città. Certo, la morte del genero fa pensare...”

“Scusa, ma in che anno precipitò con l'aereo Amedeo? Ed era lui che con il fratello andava durante la prima guerra a vedere dall'altra parte delle file nemiche e tornava con la tela dell'aereo tutta tagliata dai colpi nemici?”



1915 - 1916 Entra in linea il primo caccia italiano il Nieuport Macchi

Mio padre non si fa attendere: “Forse nel 1917, ma non in azione di guerra. Si era levato in volo di addestramento e volle andare a rendere omaggio (o, meglio, ad esibirsi davanti) alla moglie Gisella, che aspettava Amedea, passando radente sulla loro casa, una specie di masseria fortificata che una volta sono stato a visitare con Alfredo, sempre vicino Brescia. Con la "riattaccata", stallò e precipitò. Non so nulla di queste ali bucate, ma credo che questo si sia detto e si dica di tutt'i piloti che operano in zona di guerra! Né credo che alcuno dei fratelli volasse con lui: infatti gli osservatori, che volavano con i piloti per osservare, appunto, le linee nemiche, erano in genere ufficiali di artiglieria che potevano meglio valutare le istruzioni da impartire poi ai propri direttori di tiro; e i Ferraro figli di Eugenio (Amedeo, Consalvo, Gustavo, tutti e tre caduti durante la Prima Guerra Mondiale, e Renato e Decio, erano tutti in fanteria, al contrario dei figli di Luigi (Riccardo e Mario) che erano artiglieri, cui si aggiunse mio padre Guido come ufficiale di complemento, il quale comunque la guerra la fece anche lui sul serio (e poi doveva sposare proprio un'Austriaca - si conobbero appena sei anni dopo la fine della guerra - che chiamava per scherzo "la Nemica", titolo di una celebre commedia di Dario Niccodemi).

Giusto per completezza, Amedeo Ferraro era decollato dal campo d'aviazione di Ghedi, che ancor oggi è un'importante base aerea che ho visitata durante un viaggio d'istruzione con l'ISSMI (Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze)”.