lunedì 20 luglio 2009

Un treno carico di passato

“Sbaglio o fino ad una certa età per tutti eri Kekè?” Silenzio e meraviglia dall’altra parte del telefono. Anche un po’ di sconcerto. Niente nomi da adulta che proteggono, ma la certezza che il passato può venire scoperto da un momento all’altro. “Ma tu come lo sai?” Ho conosciuto Alina per lavoro e, per quanto le incursioni nelle reciproche vite private siano state parecchie e divertenti, resto un’amica di lavoro. “Mio padre ancora mi chiama Kekè. Ma chi te lo ha detto?”. Ovviamente mi guardo bene dallo svelare l’arcano. E invece infierisco. “Penso che ti stia bene. Ovviamente Kekè con la k. Un nometto da piccolina, ma la K non te la toglie nessuno. O almeno certamente non io”.

Kekè è seriamente provata: “Dai non ti ci mettere anche tu. Sono già abbastanza sfinita dal ‘treno dei ricordi’ che ho preso l’altro giorno”. “Racconta un po’, che mi serve proprio una storia”. “Ma, guarda, prendo il treno l’altra mattina e tutto sembrava regolare. Il primo incontro mi è sembrato normale. Restiamo a parlare per un po’. È una persona che rappresenta benissimo l’esperienza di lavoro di una decina di anni fa. Un tuffo in quel pezzo di passato”. Mi sento abbastanza pestifera: “Insomma hai incontrato un vecchio collega”. “Sì, ma non faccio in tempo a riprendermi che vedo qualcuno che mi guarda. Mi si avvicina e sento una mano sulla spalla. Sto per mollare un cazzottone per proteggere la borsa, ma riconosco nell’uomo che ho davanti un vecchio amico calabrese che non vedevo da vent’anni. Era per caso alla stazione per cambiare treno. Tre minuti per raccontarsi la vita. Andava da Torino a Mantova e sta per avere due gemelli. Un’altra doccia di passato”.

“E poi?” “È andata avanti così. Al ritorno proprio nella mia carrozza è entrato un altro pezzo di vita lavorativa, mentre appena sono arrivata ho incontrato un altro amico di adolescenza. Sono ancora distrutta. Ho messo a fuoco tanti pezzetti di vita”. “Oh, direi che ci si può far poco. Sono solo gli anni che passano, Kekè”.