venerdì 27 giugno 2008

Moçambique 1

“Sono stata qualche giorno a Roma, ma neanche ho telefonato tanto ero di corsa. Qui tutto bene. Sai che sono stata un sacco male a ottobre? Sono stata operata d'urgenza a Napoli, al Pellegrini Vecchio. Sono stata trattata benissimo. Qui tutto bene, per il momento. Con tutti i problemi di sempre, quindi direi tutto normale”. Paola va veloce. E’ giornalista di Tvcabo Moçambique a Maputo. Lavora e vive in portoghese da tanto tempo che ha raggiunto il diritto ad un pezzo di anima lusitana. Ovviamente i suoi standard sono diversi. Mentre in Italia si parla di Napoli come fosse l’inferno, per lei l’Ospedale Pellegrini Vecchio è un luogo dove sperare di essere curati. Le rispondo: “Bello sentirti. E contenta che tu stia bene, nonostante le difficoltà di ottobre. Questa mattina ho parlato di te qui a Bruxelles, dove sono per in breve periodo. Ti scriverà una persona che vuole consigli per venire in vacanza in Mozambico”.

Da poco avevo ricevuto un suo messaggio con cui chiedeva “participe do seu grupo de amigos no Plaxo Pulse (Para aceitar este convite, vá para:
http://pulse.plaxo.com/pulse/invite?i=27578059&k=988480003&l=pt
Obrigado! A equipe Pulse)”. Avevo conosciuto Paola molti anni prima. Anche prima che andasse a stare a Maputo. Una sera a Roma ci eravamo trovate con amici in un locale ad ascoltare musica mozambicana.

Grande magnifico Paese, il Mozambico. Me lo ricordo nel 1994 con Norma. La guerra era finita da poco e giravano caschi blu con facce improbabili di paesi incredibili. Miseria, ma gente allegra Dio l’aiuta. Durante la guerra si diceva fossero spariti tutti gli animali selvaggi. Mangiati. Compresi i leoni. Tranne quelli che erano riusciti a passare il confine e a fuggire in Sud Africa. Niente luce elettrica, ma dove c’era un generatore funzionava sicuramente una discoteca. Radio Moçambique era l’unico posto dove si trovavano le cassette di musica. E la gente ti offriva opere d’arte bellissime.

E poi la cosa più incredibile: il colore della tua pelle contava meno di niente per definirti. Di là, in Sud Africa, un bianco stava da una parte e faceva certe cose. Passavi di qua, in Mozambico, e non dipendeva più dal colore della tua pelle chi tu fossi e a quali regole ti dovessi attenere. Non voglio dire che non contasse, ma non per definire da dove venivi, chi eri, dove andavi.

Avevo detto a Paola che ero tornata dal Mozambico con i colori negli occhi e una valigia di dipinti, batik, collane di semi, bracciali di legno, statuine. Io, che in genere non ho grandi bisogni, avevo comprato di tutto, per portare con me un pezzo del Paese. Lei, che non c’era mai stata, ci ha messo piede e ci è rimasta.

sabato 21 giugno 2008

‘Clementine’ di fine ‘800 a cena e filigranes a colazione

“Caccia ‘e clementine”. Mio padre è controluce, mentre il sole ancora alto entra nella stanza. Serata in famiglia a Bruxelles. Mio padre e mia madre sono arrivati da poche ore. Nove e mezza di sera ed è come se fossero le sette. Il giorno non finisce mai. Abbiamo appena finito di cenare e mio padre punta ad un dolcetto. “Si chiamavano ‘clementine’ a casa mia le cose buone offerte ad una festa”. Ed io: “Scusa ma di che anni parliamo: 1920, 1930?” “No, il modo di dire è nato molto prima. Fine ‘800. Mio padre era dell’’80. Quindi certamente prima del 1900. Nel palazzo viveva un monsignore, che veniva accudito da una sorella, Clementina. Il giorno del suo compleanno invitava tutti i vicini. C’era sempre un momento in cui erano presenti tutti gli invitati e il monsignore diceva: ‘Clementì, caccia i complimenti’. Il passaggio da complimenti a clementine è stato breve”.

A pranzo, invece, incontro Paul, che lavora alla Commissione. “Sai per me essere tornato qui a Bruxelles e lavorare in questo posto è un po’ come essere tornato a casa o a scuola. Era così quando ero bambino alla scuola europea. Lingue diverse, persone diverse, provenienze varie, ma uno stesso minimo denominatore comune. Poi sai era il posto dove lavorava mio padre. Tante cose ritornano. Certo non è più come negli anni ’70. Ma già allora si diceva che il meglio era essere stati parte di questa macchina negli anni ‘60”. Paul non sa se si fermerà o cercherà nuove avventure professionali.

Vuole farmi conoscere un luogo speciale. “Voglio portarti in posto dove vado sempre. E’ aperto tutti i giorni dell’anno, anche a Natale, e puoi dare un occhiata a tutto quello che vuoi comodamente seduto in poltrona”. Insomma andiamo da Filigranes. Potete dare uno sguardo anche voi (
http://www.filigranes.be/media/visite360/index.htm). Metri quadri e metri quadri di libri, ma anche poltrone, tavolini e un pianoforte. Il trattamento è super. Si può prendere quello che si vuole – un quotidiano o 10 libri – e stare tranquillamente seduti in poltrona a leggere. A metà strada tra una libreria, una biblioteca ed un caffè culturale. “Sai devi fare i conti con la pioggia – dice Paul - quando è brutto tempo non c’è nulla di meglio che rifugiarsi qui dentro”.

Intanto fuori il rumore dei claxon non smette. Dopo i pescatori della settimana scorsa, oggi la pacifica Bruxelles è bloccata da una nuova manifestazione contro il caro carburante. Questa volta sono gli autotrasportatori, i taxisti e chi più ne ha più ne metta. Il centro è circondato. Camion e auto portano avanti una dimostrazione pacifica ma rumorosa, procedendo a passo d’uomo sulla strada che segue il tracciato delle antiche mura.

Per la categoria i libri che decisi di non comprare e di non leggere – almeno per ora – inserisco “La sofferenza del Belgio” di Hugo Claus. Avevo pensato di portarlo qui con me, visto che è considerato un’occasione da non perdere (
http://www.ibs.it/code/9788807015526/claus-hugo/sofferenza-del-belgio.html). Stavo per comprarlo quando mi è capitata tra le mani una di quelle analisi per addetti ai lavori con lo stato delle cose in vari Paesi europei. Nel Belgio veniva fotografato un alto indice di felicità. Ho preferito lasciar perdere la sofferenza. Per il momento.

martedì 17 giugno 2008

Anversa la domenica. Un registro del nord per i pensieri

“’E’ più grande del cimitero di Vienna, ma molto più tranquillo’. Si è sempre detto del Lussemburgo”. Paul sorride mentre parla. Sabato sera a Bruxelles, a casa di Norma. Metà giugno il giorno dura a lungo. La città è bellissima dalle grandi vetrate al 12° piano di un bel palazzo borghese. Siamo solo noi: Norma, Paul, Gianfranco, io e la piccola. Si beve, si mangia e si parla del più e del meno, mentre va sullo schermo un cartone cattura bambini. Che Norma debba andare in Lussemburgo domani ha scatenato tutta una serie di storielle.

Noi abbiamo in programma di fare un salto ad Anversa. Un salto davvero, visto che con mezz’ora di treno siamo al centro della città. Il tempo cambia costantemente: sole, pioggia, vento e poi di nuovo sole. La stazione ci accoglie simpatica. La vecchia costruzione fa corpo unico con sezioni nuove ed efficienti. Scale mobili di collegamento tra piani creati dalla fantasia e dalla modernità. Anversa la domenica è un grande mercato che riposa, pronto a ripartire l’indomani. Si vede che ha sempre avuto un’anima da città-mercato. Il cuore antico è il Grote Markt, che conserva assonanze con mercato, circondato dai palazzi delle arti e dei mestieri. E poi Anversa è la città dei diamanti, ma la domenica anche questa parte è tranquilla.

Mangiamo una cosa ad un caffè, basandoci sul supporto prezioso del cameriere, perché qui nelle Fiandre non basta la fantasia più sfrenata per capire il menu in fiammingo. Poi, visto che ogni promessa è debito, ci tocca una lunga visita allo zoo e all’acquario. Si vede che deve essere stato uno degli zoo più antichi e famosi. Certo ora quello che emerge forte è l’idea di sofferenza che viene dalla pantera che cammina su e giù in pochi metri per tutta la vita. Con noi a vedere gli elefanti una famiglia di ebrei ortodossi. Il padre ha il cappotto nero ed il cappello e tenta di governare con poco successo 5 pestiferi bambini. Sarà parte della comunità che commercia in diamanti fin dal 1500. Poi una puntata a vedere la via d’acqua. E’ tornato il sole ed è bellissimo. C’è un’aria comune di acque del nord.

C’è qualcosa che unisce le cose del nord, anche le considerazioni. Insomma c’è un registro del nord dei pensieri e delle emozioni. Perché certo il futuro, che è già oggi, vuol dire essere qui ma poter essere lì. Ciò non toglie che essere qui non è lo stesso che essere lì.

E così nella serie di Alexander McCall Smith dedicata Isabel Dalhousie, filosofa di Edimburgo e investigatrice dilettante, il tono cambia completamente rispetto ai libri africani. Perché se vuoi essere felice in Scozia devi capirlo davvero il piacere sottile della pioggia. E i pensieri viaggiano su onde di una lunghezza diversa.

mercoledì 11 giugno 2008

“Campagne” ed ecomostri del nord. I racconti d’Africa continuano a scaldarmi il cuore

“Pronte a partire per questa piccola “campagna”? Da quanto non facciamo un giro insieme”. Norma mette in moto la sua vettura e si parte. Da Bruxelles andiamo verso nord, a vedere il mare. Destinazione Knokke. Non ce lo siamo detto ma è evidente che ci aspettiamo una cittadina di mare con vecchie case di famiglia e poi, poco lontano, dune selvagge e un mare cupo ma fascinoso. E’ tanto che non riusciamo a ritagliarci il tempo per una piccola “campagna”, che nel lessico dell’amicizia con Norma è qualcosa che ha in se il movimento e l’avventura. Una “campagna” può durare mesi o una mezza giornata, può essere dietro l’angolo oppure richiedere decine di ore di aereo. Abbiamo fatto “campagne” leggendarie, come quelle in Mozambico o in Namibia. Anche giri di una mezza giornata possono comunque darci il gusto di andare.

Inizio giugno in Belgio e un tempo da lupi. Piove e saremo a 12 gradi. La strada va e noi chiacchieriamo del più e del meno. Passano Gand e Bruges e ci avviciniamo al mare. Knokke è il peggiore degli incubi. Un ecomostro in forma di paese. Le file di belle vecchie case sono separate dal mare da enormi alveari di cemento che cancellano l’orizzonte. Il mare non si vede e forse in realtà non c’è. Bisogna immaginarlo. Eleganti boutique e negozi più a buon mercato si susseguono senza sosta. Ma non c’è l’ombra di una duna, di un filo d’era e di uno spazio aperto. Tutto annientato dal cemento. Fuggiamo verso spazi amici. Ci rifuggiamo per riprenderci tra le dolci strade di Bruges. Cioccolato artigianale e qualcosa di buono da bere ci ritemprano da questa piccola “campagna” nel girone dell’orrido.

Perché diciamocelo gli ecomostri sono ecomostri ovunque. Al sud come al nord. A casa come in altri Paesi. E comunque gli ecomostri degli altri non hanno veramente nulla da invidiare ai nostri.

Una “campagna” riparata dalla bellezza di Bruges e di Gand. Quasi una gita fuoriporta salvata in extremis. Mi tornano alla mente i bei viaggi in Africa con Norma. Le strade rosse che non finivano mai, abitate da auto con bianchi e camminate da neri di giorno e di notte. Le estati australi con il sole luminoso e l’aria fresca. La gente. Poi passi un confine e quello che è determinante da una parte, come il colore della tua pelle, diventa quasi irrilevante perché conta un’altra cosa, come per esempio chi è il tuo Dio.

Leggo sul Corriere della Sera che il Botswana è uno dei 13 Paesi in pieno miracolo economico. E penso alla cara Precious Ramotswe, signora di costituzione tradizionale, detective titolare della No. 1 Ladies' Detective Agency di Gaborone. E’ quasi un’amica la protagonista della serie di libri di Alexander Mc Call Smith, professore universitario scozzese che continua ad essere un africano vero. Le storie di Precious, della sua casa di Zebra Drive e del suo mondo, continuano scaldarmi il cuore.