mercoledì 20 agosto 2008

Ancora Mozambico. L’isola di Ibo.

Metà luglio, la corrispondenza con Paola Rolletta è sempre divertente. Le scrivo. “Cominci a diventare davvero famosa. Mi sono trovata per puro caso a un’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio. Una cosa su “Italia e Romania: partnership, crescita e futuro in Europa”. Inizio a parlare con uno dei partecipanti, raccontando del più e del meno. Ovviamente arriviamo a parlare del Mozambico e del prode don Matteo. Il salto è breve. Tempo cinque minuti e arriviamo a te, la famosa Paola Rolletta. Don Matteo, intanto, resta inconoscibile. Ho sperato che mi fosse presentato, ma non è arrivato”. La risposta è come al solito con nuovi scenari. “Cara, sono appena arrivata ad Accra” - Accra, Accra, ma dove sarà mai Accra. E come prima cosa mi tocca di andare a vedere su google earth - “Sono qui al premio CNN Multichoice African journalistic award. Mio marito è tra i finalisti e io faccio un giro con Aids and media, dove parlerò di DREAM. Il mondo è piccolo! Davvero!” Ancora Mozambico. E i sapori di quei cibi. Come potrei non citare il libro di Paola “Cozinha Tradicional de Moçambique” sulla cucina mozambicana (http://www.criticaliteraria.com/9721054038)?

E mi torna in mente l’isola di Ibo. Nord del Mozambico, mare turchino e antiche costruzioni portoghesi che si sciolgono al tempo. Strade di città con la sabbia che copre l’antico acciottolato e ai lati vecchi palazzi. La grande chiesa nella piazza principale. I forti che incuranti del disfacimento controllano l’orizzonte. Le barche della gente di mare, le piroghe, le mangrovie. Solo qualche generatore e candele la sera. Niente gente di passaggio, ma due vecchi nell’antico forte continuano a lavorare l’argento per fare piccoli gioielli . Bracciali e collier semplici e complicati insieme. Devo averne ancora qualcuno in un cassetto.

A Pemba con Norma avemmo la fortuna di incontrare un pilota indiano con un piccolo aereo. Avevamo messo in giro la voce che ci sarebbe piaciuto andare sulle isole ma senza piroghe, barche o traversate di dieci ore. In più c’era il problema di trovare dove stare. A Ibo non c’erano alberghi e tutto funzionava secondo le regole dell’ospitalità. Insomma trovare un pilota indiano in quella zona quindici anni fa ti dava la certezza di essere in una botte di ferro, di poter andare ovunque al meglio. Stabilito il prezzo, il nostro amico ci caricò sul suo piccolo mezzo di trasporto insieme ad una cassa di whisky, suo regalo personale ad una coppia che ci avrebbero ospitato in una grande casa nella piazza principale di Ibo.

Norma ed io trovammo nuovi amici. Nella grande casa vivevano una pittrice di Maputo con il suo compagno mozambicano impegnato con non so quale organizzazione internazionale. Loro ospite una pittrice bianca anglofona zimbabwana di Harare, con una predilezione spiccata per i giovanotti neri locali. Ricordo che provvide anche a spiegarcene le ragioni – che non so più – e a presentarci l’ultimo rappresentante della categoria. Immagino pro tempore, un pro tempore molto rapido, visto che dopo due giorni era sparito. Per la casa lavorava buona parte del paese, perché oltre quelli che ricevevano stabilmente un compenso c’era sempre qualcun altro che veniva a vendere qualcosa o a offrire un servizio. E così c’era un orto e si poteva mangiare verdura, visto che veniva coltivata sotto le ferree regole del padrone di casa. Come dire potevi mangiarla e avere la certezza di sopravvivere. Ed è l’unica volta che mi consentii di magiare insalata in più di tre settimane. C’era pesce magnifico arrosto e pane fresco. Cene a lume di candela. Camere fresche e pulite. Niente da fare, se non andare in giro, leggere, chiacchierare con i padroni di casa e con tutti quelli che in un modo o nell’altro circolavano tra il giardino, la sala da pranzo e grandi spazi comuni.

Di tutto questo restano segni tangibili nella casa di Norma e in quella mia. Alle pareti abbiamo i quadri dipinti a Ibo dalle due artiste. Perché tornate a Maputo insieme alle nostre nuove amiche comprammo alcune loro opere. Molto diverse tra loro, per mano, sensibilità e tono. Eppure nulla riesce a rappresentare meglio Ibo di quei giorni. Almeno per noi.

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