domenica 6 settembre 2009

Se un’arancia ti cambia la vita

“A casa dei miei nonni si parlava in dialetto, mentre a casa dei miei genitori non era permesso. Mio padre non ha mai voluto”. Siamo a pranzo a Milano ad inizio agosto. La tensione degli ultimi impegni si stempera con piccole storie. Sono a una colazione di lavoro, l’ultima prima della pausa estiva. Chi racconta è il sostanziale padrone di casa. Facendosi due conti suo padre dovrebbe essere nato tra fine ‘800 e l’inizio del 1900. “La storia è semplice – ci dice - la mia era una famiglia di media borghesia. A casa si parlava in dialetto. All’esame di quinta elementare di mio padre una delle domande prevedeva che si scrivesse il nome di un frutto invernale, rotondo, con la buccia ed all’interno spicchi. Mio padre non riuscì a trovare un altro termine se non portogallo. Non riuscì proprio a scovare un altro modo per definirlo. Fu bocciato all’esame di quinta elementare e non ha mai consentito che noi, suoi figli, parlassimo in dialetto”.

Il modo di dire mi è familiare. Anche in napoletano, il mio dialetto-padre, si dice purtuallo. A una lingua-madre spesso si accompagna un dialetto-padre. Faccio una ricerca in rete e scopro sul sito della Treccani che: “portogallo nel senso di ‘arancia’ è disusato in italiano (anche se resiste in alcuni dialetti), ma si conserva in greco moderno portokáli e in turco portakál” (http://www.treccani.it/Portale/sito/lingua_italiana/speciali/mondo/rossi.html). Quasi ovunque in Italia la parola è d’uso comune nei dialetti (http://www.alimentipedia.it/Frutta/Frutta_arancia.html).

Poi su wikipedia leggo che “Nella letteratura del secolo XIX a volte l'arancia viene chiamata portogallo”. E su altri siti che “in italiano, portogallo è un altro modo per dire arancia” (http://www.nomix.it/rubrica_toponomastica.php?puntata=8). Insomma,metti che un’arancia ti cambi la vita. Che abbia effetto anche sui tuoi figli. E che magari avevi ragione.

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