domenica 21 marzo 2010

Amelia non lo sa. Primi appunti per una fenomenologia delle riunioni

“Secondo me dovreste vendere i biglietti. E c’è chi pagherebbe per venire alle vostre riunioni”. Lo dico pianissimo, sorridendo al giovane collega seduto alla mia destra. Dopo di lui c’è Amelia, il suo capo, che segue da anni il tema ed ha organizzato l’incontro. Subito dopo è seduto Piergiorgio, il capo di Amelia. Intorno al tavolo venti persone di strutture diverse. L’obiettivo è far partire un piano di iniziative, trovando il modo di mettere d’accordo venti teste di venti organizzazioni.

Dal lato destro arriva una domanda: “Forse non c’entra molto con il progetto, ma mi spiegate bene il quadro complessivo?” Chi parla è una delle due bionde overcinquanta che lavorano in coppia. Lei fa le domande - sempre fuori tema, che cominciano tutte con: “non ho capito”, “forse non è questo il luogo per parlarne”, “è un’altra questione, ma vorrei mi diceste” – mentre l’altra non smette mai di prendere appunti masticando gomma. Guardo il collega a destra e gli sussurro: “Ma secondo te se non trovassero posto vicine riuscirebbero a far domande e prendere appunti?”

Riunioni

Ha chiesto la parola il giovane uomo seduto in fondo a sinistra. Ha un’aria sveglia che fa ben sperare. “È solo la seconda volta che partecipo a queste riunioni. Potete chiarirmi il quadro completo da cui dobbiamo partire?” Non era così sveglio e vuole un ‘ripassino’ su tutto quello che avrebbe dovuto sapere ben prima di entrare a far parte del gruppo di lavoro. Amelia non resiste: “Le assicuro che non ci sono stati altri incontri” – come dire non ti puoi essere perso qualcosa – “ma possiamo certo partire da un breve riepilogo complessivo”. Amelia comincia con il ‘ripassino’. Non perde la pazienza, ma si vede che è provata.

Amelia non lo sa, ma da un certo momento in poi intorno al tavolo io conto per due. Sono lì con la mia identità pubblica e con questa privata di blogger. Ho deciso di smetterla di soffrire. Osservo senza più la voglia di scappare e la certezza che devo resistere a tempo indefinito. Sono qui da osservatore politico neutrale. E mi godo l’incontro.

Amelia sa che per raggiungere l’obbiettivo deve lasciare che ogni componente tiri fuori i suoi animal spirit e che pensi di aver messo nel sacco gli altri. Ogni tanto chiede aiuto e sostegno a Piergiorgio, che si muove da navigato abitatore di questo mondo. Interviene la bella rappresentante dell’azienda, che non può prendere alcuna decisione perché non ha un mandato abbastanza ampio. E comunque anche se lo avesse avrebbe bisogno di un tempo infinito per farsi un’idea. Poi parla il simpatico capo dell’ associazione che dice tutto e il contrario di tutto. La palla passa alla giovane sottile con la voce profonda che parla a nome della grande istituzione. Poi Amelia riprende la parola e chiarisce un aspetto pratico importante.

“Non sono d’accordo con le ultime cose che hai detto”. L’individuo che è intervenuto è arrivato da poco. Indefinibile. Comincia una lunga perorazione in favore di un’interpretazione giuridica oscura e incomprensibile. Guardo il giovane collega a destra: “E questo chi è? Chi rappresenta?” “È Colcolli. Lo hanno licenziato da poco, ma si presenta sempre alle riunioni come vicepresidente di un’associazione”. Amelia è davvero provata e ogni tanto passa la parola a Piergiorgio per tentare di stoppare le elucubrazioni di Colcolli.

Purtroppo devo andare. Come osservatore politico neutrale sto fissando i caratteri per identificare antropologicamente i soggetti più interessanti. Nella mia posizione pubblica ho garantito il suo sostegno per un progetto innovativo, semplice e intelligente. Non so quante altre volte dovremo soffrire insieme per tentare di farlo andare in porto. Su Internet fioriscono modi per sottolineare il lato oscuro e inutile degli incontri.


Il problema è che spesso per fare delle cose devi mettere insieme più teste e posizioni. E non lo puoi fare senza metterli intorno ad un tavolo. Però certo una riunione, o meglio un progetto che non si può realizzare senza riunioni periodiche, tempra. A meno che non si decida di trovare il lato buono e si punti a diventare un antropologo del genere.

2 commenti:

silvia ha detto...

Questo e il precedente sui matrimoni mi sembrano tra i più felicii. Che bel modo di raccontare in presa diretta! Un abbraccio, Silvia

first-life ha detto...

sei sempre cara. come potrei fare senza la tua attenta partecipazione. sono molto legata alla storia dei matrimoni immaginati. perché Tarek e la sua famiglia sono un pezzo della mia vita. è appena passato da casa e mi ha solo abbracciato per ringraziarmi, aggiungendo a Gianfranco: "e poi è proprio così che sono andate le cose". a presto.