Dal lavoro passiamo alla vita di tutti i giorni, figli e nipoti compresi. Parliamo serenamente, girando per San Paolo nel cuore della notte. Io il giorno dopo ripartirò per Roma, mentre il capo e sua moglie andranno a nord, a Baja. Chiacchierare in auto ci fa sentire in una dimensione casalinga. L’atmosfera è confortevole e familiare. È come essere in una piccola navicella con intorno il vuoto siderale. Arriviamo in albergo e la moglie del capo dice tranquillamente in italiano all’autista brasiliano: “Roberto, visto il traffico di questa città, penso che sia meglio se domani ci vediamo un po’ prima. Diciamo alle 8 meno dieci”. Roberto le conferma con un ricco giro di parole che probabilmente è una buona idea, naturalmente in brasiliano. Entriamo nel grande albergo, ci salutiamo e prendiamo i diversi ascensori che ci competono per arrivare ai nostri piani. L’atmosfera è un po’ dimessa, buia, ma in fondo siamo alle 3 di notte.
Blackout in Brasile
Il giorno dopo, molto presto al mattino, mi telefona mio padre: “Allora com’è andato questo enorme blackout che ha lasciato al buio per ore il Paese? Effetti evidenti? Pare che ci sia stato un picco di azioni criminali”. Rispondo tranquilla: “Veramente non me ne sono quasi accorta”. Il dubbio di essere stata nel centro del caos e dell’attivismo criminale senza nemmeno rendermene conto mi resta in testa come un tarlo e così, mentre vado all’aeroporto, chiedo all’uomo che guida il taxi la sua opinione su che cosa sia successo durante il black out (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200911articoli/49297girata.asp). La risposta è lunga e colorita, ma mi dà l’idea che sia un po’ troppo strutturata. Insomma, sono certa che l’autista dormisse nel cuore della notte. Credo che però si sentisse in dovere di raccontarmi tutto quello che la sua fervida immaginazione riuscisse a mettere insieme per non deludere l’osservatrice forestiera.
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