“Gentile Barone Cosenza,
il Signor Giuseppe Peluso di Pozzuoli, cultore
di storie patrie, mi ha dato notizie della cosiddetta 'congiura del Barone
Cosenza', di cui ambivo sapere qualcosa di più di quel pochissimo che
sapevo; e per questo gli sono molto grato.
Ho pensato che possa interessarLe quanto risulta a me, per
tradizione familiare. A tale congiura prese parte (non so con quale ruolo: egli
era uomo di legge e non d'armi) il mio bisnonno Francesco di Paola Ferrara (poi
Ferraro), Avvocato e Consigliere Particolare del Re (Dio guardi!). Per tale sua
partecipazione fu arrestato e detenuto nelle allora carceri di San Francesco
fuori Porta Capuana, edificio poi adibito a Pretura Unificata (prima esistevano
le Preture Mandamentali distribuite nell'ambito cittadino). Ricordo di aver
avuto per le mani, da ragazzo, una piantina del carcere con l'indicazione della
cella di detenzione del mio avo: ora penso che forse essa era stata redatta in
vista di una possibile evasione. Non so se questo documento (informale) esista
ancora nel mio disordinatissimo archivio. Egli fu poi discriminato, non so se
per assoluzione od amnistia, e tornò a fare l'avvocato, libero professionista.
Certo è che i discendenti di ‘Nonno Ciccio’, tra cui mio Padre,
rimasero sempre fedeli alla memoria dei Borboni, ed ancora quando ero piccolo
(anni '40), per qualunque cosa non funzionasse - e già allora ce n'erano tante,
a Napoli! - mio Padre (anche lui avvocato) esclamava: ‘'A quanne è venuto 'on
Peppino Caribalde a Napule nun funziona niente cchiù!’
Mio Suocero, Avvocato Tommaso Siciliano, che era un buon storico,
anche lui di nostalgie borboniche, non è riuscito a sapere molto di più: il suo
e mio convincimento era ed è che forse volutamente siano state soppresse tracce
di questa vicenda”.
Il messaggio di mio padre è dello scorso anno. È una mail semplice
diretta all'ultimo discendente di una congiura dell’aprile del 1862. Una
congiura organizzata quando tutto era già perso. E noi con nonno Ciccio eravamo
della partita. Dalla parte dei Borboni.
Francesco
di Paola Ferrara
Il
barone Cosenza risponde a stretto giro. “Caro Renato, in merito al mio avo, c’è
abbondante documentazione anche inedita, su internet. Puoi trovarla sia nell'associazione neoborbonica, dove se ne racconta la carriera militare, le
battaglie e la strenua resistenza all'invasore piemontese. Sia su internet,
digitando ‘barone Achille Cosenza’. Troverai le rivolte che preparava
,assoldando varie bande di briganti e tutti gli atti processuali, inoltre vari
testi inediti e varia documentazione segreta proveniente dall'Inghilterra.
Troverai anche i nomi degli avvocati che lo difesero”.
Il discorso continua via web. Mio padre chiede al barone come si
chiami e dove viva. “Noi siamo originari di Napoli – scrive in
risposta- con feudi nella provincia di Cosenza. Io vivo tra Lecce, Bari e Roma.
Spesso sono a Manduria, dove ho ereditato l’azienda vitivinicola di mia madre,
i conti Stendardo di Mesagne. Il mio nome è Milo”. E la cosa va avanti. “Caro Milo – dice mio padre - ma figuraTi che anche i Ferrara (poi Ferraro)
avevano addentellati a Manduria, in particolare il Cardinal Ferrara, al quale è
intestata una strada. Io vivo a Roma: quando Ti trovi a passare, sarei felice
di incontrarTi, e magari di averTi a pranzo o a cena”.
Cerco notizie del barone
Achille Cosenza. Provò a dar vita ad una insurrezione per la fine di
aprile del 1862, ma fu arrestato prima perché la congiura fu scoperta per una
delazione. Processato e condannato, riuscì ad evadere e a rifugiarsi a Roma, da
dove continuava a tramare.
In realtà la ‘resistenza borbonica’, con
centro nevralgico di lotta a Palazzo Farnese a Roma, pare che non fosse proprio
rose e fiori. Beghe interne, interessi specifici per le sostanze di Francesco
II da parte di agenti venali, lotte tra fazioni, pochi collegamenti strutturati
con l’estero. Memorie più o meno lucide e di parte raccontano di grande
confusione nei disegni. Così per esempio le memorie
politiche del Cavalier Luigi Mira. Il barone Achille
Cosenza è personaggio centrale anche dopo la fuga a Roma come emerge in più testi. Secondo la Trecani aveva un suo buon seguito. E non solo di bande di briganti, come emerge
dalla congiura
di Frisio. Insomma, a favore
dei Borboni non ci sarebbero state solo bande di
disperati, ma anche larghe fasce di gentiluomini.
Mio padre mi ripete: “Non so Nonno
Ciccio quanto tempo sia stato recluso nel carcere di San Francesco fuori Porta
Capuana (poi diventato Pretura Unificata di Napoli). Avevamo una pianta del
carcere da cui risultava la sua cella, ma chi sa che fine ha fatta. Fu scarcerato
per proscioglimento. Credo di sicuro che fosse stato prosciolto”.
Certo a distanza di tanti anni non è ancora
tutto pacificato. Trovo in rete bande di nostalgici, come i Comitati delle Due Sicilie, che sottolineano “Non siamo un partito, siamo una Nazione”. Scrivo anche io al barone Milo Cosenza per usare lo scambio
epistolare. E mi dice: “Se vuoi visionare un po’ della mia
storia puoi vederla su Facebook a ‘barone Milo Cosenza’".
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