sabato 15 marzo 2014

A Milano con gli austriaci. Il barone Torresani

Non riesco a trovare un caso, dico uno, in cui qualcuno di famiglia sia stato con quelli che hanno vinto. Magari quando non c’è ancora certezza la scelta non è evidente. Ma nel momento in cui è assodato che c’è una parte che sta per perdere è abbastanza probabile che noi siamo di là. Abbiamo perso tutte le guerre, battaglie, scaramucce. Sempre dalla parte sbagliata. Insomma, in caso di vittoria siamo pronti a saltare sul carro dello sconfitto. Provo ad essere più chiara. Non è che siamo con il vincitore e poi quando viene sconfitto restiamo con lui. No, sarebbe troppo facile. Mentre qualcuno vince non ci interessa, è quando si prospetta la sconfitta che facciamo la scelta di campo.

E così scopro che addirittura abbiamo qualcuno in famiglia che è stato capo della polizia austriaca durante le 5 giornate di Milano. Ah il Risorgimento. Per la mia famiglia ha rappresentato la possibilità di scegliere da Sud e da Nord quelli che avrebbero perso. Sapevo che eravamo per il Regno delle due Sicilie e che nonno Ciccio, ossia il trisavolo Francesco Ferrara, aveva partecipato ad una congiura per riportare i Borboni a Napoli quando tutto era perduto e l’Italia fatta. Ma addirittura avere in casa il capo della polizia austriaca a Milano è davvero incredibile.

Ma veniamo ai fatti. Partendo dall’
album di Dori, su cui pure mi toccherà di tornare, sono arrivata alla nonna della mia nonna paterna, ossia a Carolina Fortunata Giuseppina Torresani, figlia di Carlo Giusto Torresani barone di Camponero. E chi era costui? Arriva una semplice mail da mio fratello con un link alla Enciclopedia Trecani:

TORRESANI LANZFELD, Carlo Giusto de, barone di Camponero. - Nato a Cles (Trentino) il 16 febbraio 1779, morto l'8 agosto 1852. Studiò leggi nell'università di Vienna, ma nel 1796 combatté valorosamente, come ufficiale dei bersaglieri provinciali, contro i Francesi. Nel 1802 intraprese la carriera dei pubblici impieghi, che fu brillantissima ma non rapida; commissario di polizia a Salisburgo nel 1806, solo nel 1822 ottenne la desideratissima direzione della polizia di Milano. Fu severo, zelante, scrupoloso nel suo ufficio, e perciò apprezzatissimo dal Metternich e dal sovrano; ma non disumano né vendicativo. Nel 1833 e 1834 scoprì e sventò la congiura della Giovine Italia in Lombardia e ne arrestò i capi. Nel 1846 ebbe anche la direzione del Teatro della Scala, di cui il governo molto si curava per ragioni politiche. Dal 1846 al 1848 più volte consigliò al governo centrale provvedimenti politici ed economici, ma invano. Operò allora molte perquisizioni ed arresti e duramente represse le manifestazioni patriottiche dei primi mesi del 1848. Durante le Cinque giornate mostrò grande risolutezza e coraggio personale. Seguì l'esercito nella ritirata a Verona e qui finì la sua carriera”.

Un legame Torresani - La Scala a Milano anche oggi è rimasto. Scopro che il responsabile dell’Ufficio promozione culturale si chiama Carlo Torresani.

Cerco un’immagine dell’antenato in rete, ma niente. Poi mio padre mi dice che nelle sue ricerche Alessandra, la moglie di mio fratello, ha trovato un quadro. Ed è praticamente lo stesso che ha in casa Evi in Inghilterra. È insieme ad una serie di ritratti che non sa attribuire. “Hanging here in my drawing room – scrive Evi a mio padre -..... to make you laugh, because Carolus Torresani's picture - an aquarell is exactly the same that Alessandra found in the Archives.... It's really funny. I knew it was Torresani”.



Carlo Torresani

Faccio un giro sul web e diciamo che Torresani non è proprio uno sconosciuto, nonostante sia passato un po’ di tempo. Nella Rassegna storica del Risorgimento trovo i diari di Giuseppe Montanelli, che il 5 aprile del 1848 scrive:”Fui ieri a Trento. Mi trattenni solamente due ore per la ragione che vi dirò; stanotte ho dormito in un piccolo villaggio alla distanza di cinque o sei miglia da Trento. Un movimento spontaneo in Trento è impossibile. Vi è una aristocrazia tutta austriaca. Il castello è guardato da 1400 uomini. A Bolzano il viceré ha fissato la sua residenza, e di là fa una propaganda contro di noi. Cerca di commuovere le popolazioni del Tirolo tedesco contro gli italiani, manda fuori proclami, ed ha seco quel mostro di Torresani”. E la nota a pie’ di pagina non lascia dubbi: “Carlo Giusto Torresani, barone di Lanzelfeld e Camponero. Direttore generale della polizia a Milano, fu abile e terribile persecutore dei patrioti italiani; apprezzato da Metternick fu l'uomo di fiducia di Radetzld”.

E molti riferimenti sono anche nel
libro di Arrigo Petacco dedicato a Cristina Trivulzio di Belgioioso, in prima linea nel Risorgimento. Il profilo della principessa Cristina è fantastico, tra lotte carbonare e salotti, amori romantici e una figlia forse illegittima. Tra l’altro avrebbe dato vita al servizio delle infermiere volontarie. Durante l’assedio di Roma, Giuseppe Mazzini le affidò l’incarico di dirigere le ambulanze militari, ossia gli ospedali. E lei si sbarazzò di quasi tutti i vecchi infermieri, “uomini rozzi, ineducati, sovente ubriachi, l’antipodo insomma di ciò che dovrebbero essere coloro che assistono gli infermi”.
  


Cristina Trivulzio di Belgioioso in un ritratto di Francesco Hayez



Alcune pagine del libro di Arrigo Petacco mettono a fuoco i contatti tra la principessa e Torresani. ”Il capo della polizia austriaca di Milano, barone Carlo Giusto Torresani, si era fatto una regola di tenere i milanesi imbottigliati in città. Lungaggini di ogni tipo e ostruzioni burocratici erano da lui posti in opera per ottenere tal fine. Inoltre sottoponeva gli interessati a lunghi e stringenti interrogatori per scoprire gli eventuali veri motivi che si celavano dietro la loro richiesta. Per evitare questi intralci, Cristina sfruttò il suo nome onde scavalcare il Torresani e rivolgersi direttamente al governatore Giulio Cesare Strassoldo. E fu un gravissimo errore. Il conte Strassoldo, infatti, le rilasciò subito il passaporto, intestato ai coniugi Belgioioso ma “valituro per la sola Principessa”, ma il sospettoso Torresani la prese male. Forse perché offeso dal fatto di essere stato scavalcato, forse perché la sua mentalità di poliziotto gli faceva intravedere complotti e cospirazioni anche dove non ce n’erano, decise di non perdere più di vista la principessa fuggiasca. Da allora in poi le sue spie l’avrebbero seguita dovunque e, in un certo senso, sarebbero state proprio le sue persecuzioni a spingere Cristina a schierarsi anima e corpo con i cospiratori”.











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